venerdì 24 agosto 2012

Il Bar dei fratelli Caria ama la mamma e la polizia

Per spiegarci il Bosone, i fisici del Cern, hanno usato la metafora della stanza piena da attraversare. Quell'inafferrabile pieno declinato nello spazio interstellare è Bosone. Per spiegare il bar dei fratelli Caria non serve la metafora, le stanze del locale son sempe vuote. È un vuoto contemporaneo però, una volta quel bar era pieno (di uomini e bosoni). La nostra certezza si basa su segnali inequivocabili. Il primo: il bar in oggetto, come altri bar di prima periferia, che non hanno voluto o potuto rinnovarsi ma che stanno cercando, per oscuri motivi di resistere, hanno perso per lutto la propria clientela. Due: all'interno del bar persiste un iper arredamento, posaceneri, sedie e tavolini che oramai nessuna tocca, nessuno usa e nessuno sposta. Tre: lungo le pareti del bar sono appesi , con chiodi che tengono a malapena il peso, delle cornici. Segni inequivocabili di un vissuto, di una passione, di una frequentazione da bar, appunto. Quattro: dietro il bancone liquori dei bei tempi andati fanno ancora orgogliosa mosra di se. Tanto che qui il Biancosarti fa ombra alla ditta Martini. Cinque: la faccia del barista, in ogni ruga una storia da raccontare, peccato che non ci sia più nessuno ad ascoltare.
Bonus: il biancosarti ci fa sempre venire in mente Telly Savalas nel tenente Kojak.
Malus: le poche sedute esterne si contendono lo spazio con le automobili parcheggiate un po' ovunque.
Voti della palmanana
Ambiente: 6/7
Servizio: 6+

Bar Caria, via G. Palomba 20, Alghero

venerdì 17 agosto 2012

Mangiare in Sardegna, trattorie e mercati del pesce nella “barceloneta d’Italia” (da "il Fatto Quotidiano" del 14/08/12)

Premesso che i ricci proliferano in tutto il Mediterraneo e che le aragoste sarde sono più ricche di molti di noi perché volano in prima classe per i migliori ristoranti del mondo, oggi cerchiamo di affrontare uno dei luoghi comuni del turista che sceglie la Sardegna: l’abbuffata di pesce! Forse non tutti sanno che nell’immaginario dei sardi, le feste sono un buon maialino da latte o un capretto che volteggiano sul fuoco; sono le deliziose indigeribili zuppe di pecora e formaggio o di lardo e fave; sono carciofi e tenere favette. L’ambientazione classica dell’umorismo “continentale” sui sardi non è mai la barca, ma quasi sempre un dirupo tra sassi e mirti, contornato da greggi di pecore. Tutti però pensano al pesce quando prendono un biglietto per la Sardegna. E allora proviamo a dimenticare tutto ciò e da bravi turisti iniziamo a chiedere anche noi, per le strade di Alghero, dove si mangia il pesce buono.

Tra i primi posti che ci vengono suggeriti pare che ci sia un santuario della pasta coi ricci, la trattoria Maristella. Quasi ognuno ha avuto una casa della nonna o della zia. Ognuno la propria o al massimo condivisa con pochi connipoti. I ricordi si mescolano negli odori di cucina tra i mordi e fuggi da bicarbonato alla modica cifra di un interrogatorio faticoso per delare di te e dei tuoi prossimi. Anche da Maristella non ci si passa per caso come dalla nonna, ma quando puoi, dimentichi il conto, gli odori di zuppe e arrosti, e ritorni. Uno spazietto banale il giusto, tinto di sobrio gusto minimo medio: dall’apparecchiatura alla posa neutrale e giusto-cordiale dei camerieri. Tra le facce degli addetti al servizio aleggia però un sottile senso di “tanto lo sappiamo che la nostra roba è buona e che ti ha mandato qualcuno o ci conosci già”! Ma sanno anche che il cibo genuino non è troppo economico e allora, anche se ti hanno già inquadrato, nessuno farà smorfiette se chiederete di “smezzare” qualche piatto per assaggiare di più. Contrariamente agli avventori, i cui discorsi urlati rimbombano nella piccola sala nei momenti di pienone, i camerieri non parlano molto. Qui però chi comunica davvero è il piatto. Sincero, anche. Pochi intingoli e un gusto rustico per il mostro sbattuto in prima pagina, senza carezze. Dritto verso la sazietà. I superpapillati del retrogusto e del bouquet complesso sono avvisati: qui il pesce sa di pesce! La selezione di vini sardi tiene testa ai gusti veraci, lasciatevi consigliare dai monosillabi dei camerieri.

Tornati in strada con nuova verve, proviamo a cambiare target. Qual è il posto più radicalchic della “barceloneta” d’italia? Di sicuro non stiamo parlando quei locali che imitano gli allestimenti obituari e anemici della Milano da bere. Se cerchiamo un posto rustico ma raffinato, informale ma delicato, leggermente popolare ma sicuramente, sostenibilmente, a kilometro zero, allora tutti al Mercato del Pesce! Bateson dice che, escludendo l’istinto, le abitudini si apprendono sempre due volte. Prima si conosce il funzionamento di qualcosa, poi, esercitandosi e sperimentando, ci si abitua a ripeterlo. Istintivamente noti la Boqueria verso l’ora di pranzo quando avverti un inspiegabile odore di frittura intorno a te. Ti guardi intorno con attenzione e finalmente scorgi un cartello fuori dal mercato del pesce. Ti ci avvicini e vedi della gente che non ha l’aria da casalinga entrare o uscire da lì, chiacchierando tra amici. In quel momento capisci che il tuo istinto non mentiva. Poi, scatta l’abitudine. Fin dalla prima volta è bene imparare a separare l’aspetto da friggitoria rustica dalla realtà malcelatamente fighetta del locale. Si deve capire che i pescioni freschi che ti guardano e le ostriche che ti naccherano al ritmo dell’acquolina in bocca non hanno affatto lo stesso prezzo del banco del pesce alle tue spalle. Mentre aspetti un tavolo nell’ora di punta, tra i morsi dell’appetito, devi esercitarti a stare a tuo agio tra gli echi del mercato, incantonato sul tuo tavolino, a debita distanza da felpe fintoluride col cappuccio e completi di Armani: un’esperienza da provare! Se la freschezza e la bontà non hanno prezzo, mai questa massima fu più vera alla Boqueria dove, a parte il piatto fisso di frittura, non esiste prezzo esposto. Ogni abitudine, infatti ha degli imprevisti. E qui resta oscuro il meccanismo di formazione del conto. Al punto che se pure impari a scegliere in modo eurocompatibile e prendi il vizio di coccolarti ogni tanto con una deliziosa triglia arrosto o un turgido polpo, lo farai comunque rischiando di dar fondo ai biglietti nel portafogli! Che dipenda da chi fa le somme? Non si sa. Intanto il vino in bottiglia è piuttosto caro, e anche troppo freddo. Che si possa, in tutta questa informalità, portarsene una bottiglia giusta da casa? Un paio di esperienze non sarebbero sufficienti se non ci fosse però quella più autentica.

A chi disponesse di una cucina o di un barbecue consigliamo vivamente una passeggiata per la banchina settentrionale di Alghero. Lì, hanno realizzato da poco un mercato del pesce locale. Consigliamo di portarvi a casa qualcuno di quei deliziosi mostri marini fuori misura che stimoleranno e soddisferanno ogni appetito talassofilo. E se, come spesso succede, lo troverete chiuso (il maestrale impera sulle vite dei pescatori sardi), provate a girare tra i pescherecci e chiedete in giro se qualcuno ha da vendervi qualcosa. Se siete fortunati, quella sarà la vostra migliore abbuffata di pesce in Sardegna!

vedi articolo nel suo contesto

lunedì 6 agosto 2012

Refugium per turista neghittoso. Ristorante al bisbe

La città catalana ha un gruzzolo nascosto di vie strette, di muri zuppi d’umido e di sale, che il lento inverno prepara all’asciugatura dell’estate. Allora è la canicola che vince, quando la mamma del sole inchioda i viandanti ciechi e li forza a strisciare lungo gli orli dei muri: senza accorgersene capita di arrivare all’acciottolato di piazza del teatro, che è già sera, e prender giù storditi per i gradini del Bisbe. Errore quanto mai felice!
Sì, è vero che la cucina a vista sparge i fumi delle cotture, anticipa la sorpresa degli odori e forse li staglia fin troppo sulle ceramiche chiare chiare, luccicanti sotto le lampade dei barbuti designer milanesi. Ma la saletta lunga nei pressi del bancone darà il sollievo della penombra e della musica soffusa, a chi cerca respiro dalla non vita delle spiagge arroventate. Qui nei seminterrati segreti, nel ventre di Alghero, mani premurose sapranno offrirgli – su rustiche tovagliette di carta da macelleria, ricercatissime! – la compagnia di una pasta con verdurelle appena scottate, insaporite di spezie della macchia. Un calice o due di nerissimo rosso per un oblio sereno, una vacanza leggera e finalmente paga di un riposo senza desideri. (ma.sì)
Bonus: Nella pia e buona opera c’è una passione sincera, per quelle cose terrestri che preparano un piccolo cielo anche qui.
Malus: L’opera pia ha i suoi costerelli, non altissimi... Ma è giusto: il turista neghittoso deve espiare. E anche i ristoratori devono mangiare.

Ristorante Al Bisbe, Placa Del Bisbe 4, alias del Teatro, Alghero

giovedì 2 agosto 2012

Mangiare in Sardegna: un vademecum per affrontare le sagre di paese (da "il Fatto Quotidiano" del 23/07/12)

Un indimenticabile Enrico Montesano travestito da romantica donna inglese esclamava “molto pittoresco” ad ogni piè sospinto. Le occasioni “d’entusiasmo” di Milady derivavano da visoni grossolane, grottesche e cialtrone del nostro bel paese. Era la televisione degli anni ’70 e ad occhio e croce sono passati trent’anni. Adesso prendete un turista continentale contemporaneo, cotto a puntino dalla canicola della Sardegna, trasportatelo per una sera dai bagni di mare ad un rigoroso bagno d’entroterra (e “più dentro”si va meglio è) con opzione festa o sagra di paese e aspettate le prime due parole che pronuncerà. Milady e il nostro paonazzo turista avranno lo stesso ebete entusiasmo. Spieghiamo il perché.
Ci sono due tipologie di festa/sagra sarda: quelle dove il comitato organizzatore non fa da mangiare e quella dove lo fa. Di solito si festeggia un santo patrono, ma ci sono anche paesi che festeggiano il santo di riserva per festeggiare due volte. Si narra di piccole comunità che organizzano festeggiamenti nella propria piccola cittadina di un santo patrono di un paese attiguo. La prima tipologia demanda l’oneroso compito a terzi, non prima d’averci spiegato per filo e per segno (a volte persino mostrato) quanto sono buoni i loro piatti tipici e quanto sono bravi a cucinarli. Non fatevi illusioni però, a noi mortali non è dato assaggiare. Quindi chi allieterà lo stomaco del forestiero? Le opzioni sono di nuovo due. La prima è la più veloce e pericolosa: il “panino cadozzo” servito da camion omonimo. Trattasi di panino a tre gustose scelte, cavallo, salsiccia o pancetta con contorno di cipolla fritta. La digestione sarà la vostra personale via crucis. La seconda è apparentemente senza ruote, ma in realtà viaggia eccome. Proviene dal nuorese, almeno così sta scritto sull’insegna ed è il più grande assassino di maialetti da latte dell’universo, a giudicare dalla quantità arrostita al minuto secondo. Da lui troverete anche cordula (ovvero frattaglie ed interiora), ma in mezzo al poderoso fumo a volte fanno “bella mostra” di se anche dei muggini. Il pesce in realtà non lo prende nessuno, è li per par condicio. Il Trimalcione nuorese non è economicissimo e quando lo troverete per la sesta volta in sei posti diversi vi farete anche voi le prime domande sull’industrializzazione spinta dell’arrostitore folle. Per la digestione vedi sopra, ma se digerite i sassi nessun problema.
Altra storia se il comitato cucina ma anche qui le variabili si biforcano. Opzione uno (chiamiamola Imprevisti, come nel Monopoli): il comitato cucina panini, o meglio infarcisce panini. Scelte, le solite (vedi panino cadozzo). Ripassa dal via e digerisci tra due settimane. Opzione due, Probabilità, siete fortunati: la proloco cucina. Ma diciamolo subito per i vegan-vegetariani o deboli di stomaco non c’è trippa per gatti. Menù tipico: pecora bollita con o senza fave. Varianti rare: agnello, cinghiale, pane con olio fritto. A volte la sagra è a pochi metri dal mare ma il menù è sempre di terra. Ci vorrebbe una missione internazionale di psicologi senza frontiere per capire il perché la Sardegna, isola nel Mediterraneo, conservi verso il pescato una ancestrale ritrosia. Gli onnivori ne usciranno felici: la qualità del cibo è ottima e i prezzi onestissimi (a volte capita di mangiare pure gratis).
Due parole sono obbligatorie anche per le cortes apertas, ultima mania perlopiù autunnale di aziende turistiche locali ed assessorati al turismo i qualsiasi dimensione. Qui il protagonista è il vino nuovo; per una modica cifre all inclusive (anche di bicchiere) potete avvinazzarvi di novello fino all’alba. Il cibo è un comprimario, una comparsata tra un calice mezzo pieno e uno stracolmo. E il nostre forestiero, sarà sazio, sarà ebbro? Di sicuro sarà stanco perché difficilmente troverà da sedersi. Qualsiasi sia il santo, qualsiasi sia l’opzione festaiola per desinare sono bandite panche e sedie. Si mangia in piedi e si balla a tre passi.
P.s. Nell’odierno mondo è bello ritrovar persone a far di conto con lapis e block notes, ma se le numerose persone che stanno davanti a voi vorrebbero saziarsi di prelibatezze in un tempo ragionevole, forse l’uso di una calcolatrice elettronica potrebbe aiutare a smaltire la fila.

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