sabato 28 luglio 2012

Mangiare in Sardegna, trattorie e ristoranti ad Alghero e Sassari (da "il Fatto Quotidiano" del 20/07/12)

La città catalana ha un gruzzolo nascosto di vie strette, di muri zuppi d’umido e di sale, che il lento inverno prepara all’asciugatura dell’estate. Allora è la canicola che vince, quando la mamma del sole inchioda i viandanti ciechi e li forza a strisciare lungo gli orli dei muri: senza accorgersene capita di arrivare all’acciottolato di piazza del teatro, che è già sera, e prender giù storditi per i gradini del Bisbe. Errore quanto mai felice! Sì, è vero che la cucina a vista sparge i fumi delle cotture, anticipa la sorpresa degli odori e forse li staglia fin troppo sulle ceramiche chiare, alla luce piena delle lampade di barbuti designer milanesi. Ma la saletta lunga nei pressi del bancone darà il sollievo della penombra e della musica soffusa, e mani premurose offriranno qui sulle rustiche tovagliette di carta da macelleria, ricercatissime, la compagnia di una pasta con verdurelle appena scottate, insaporite di spezie della macchia. Un calice o due di nerissimo rosso per un oblio sereno, una vacanza leggera e finalmente paga di un riposo senza desideri.
Sembrerà strano, eppure anche per Alghero, Barcelloneta dell’isola, si leggono appunti di turisti malcontenti, a cui si crede e non si crede. Ma è bene darne testimonianza, perché l’insidia esiste, la tentazione davvero poco sarda di trattare l’0spite come un turista qualsiasi. Et voilà: Il nuovo Gourmand “da Bruno” (piazzale della Pace 39).
Alla pacciatòria si specchiano i volti estenuati dalla fila, gli occhi proni, ravananti tra le vaschette zincate, a brucare quel che affiora dai sughi del giorno; e facce eternamente stanche ti accompagnano il piattino di polistirene, mani sfinite ti seguono fino al termine del binario morto, a cavare il biglietto di carta termica dal registratore. Occhi bassi, fissi, dove si posano le stoviglie e i piedi; e per chi trova posto, occhi che guardano con sospetto, o che sogguardano le gigantografie allegoriche esposte a memorare la vanità dei sapori, ad allietare l’incauto appuntamento del pellegrino con i cibi. Meglio starsene fragili, appollaiati precari sul trampolino degli sgabelli alla vetrina. Allora il mare d’Alghero è una direzione lontana, futura, di là dell’immensa distesa della Pace: la piazza d’armi che ingoia i turisti del sedile, o gli sbarcati freschi d’aria condizionata, dalle pance degli autobus stranieri. – Eh, Bruno!? – Non si sa più se tu non sia che un nome: se mai sia esistito il Bruno o se, naufrago, ancora esisti e ti aggiri là di fuori, senza più riconoscere i pali storti della passeggiata Busquet né i fanali di Capo Caccia… Senza capire perché, tra i vassoietti impilati, lo spirito del zio Mac si gratta la bazza e sorride.
Per chi proprio (punto da medusa o da invincibile male delle folle rosolanti) senta il bisogno di un ritorno a terra, la cura porta a Sassari, in visita ossequiosa dalle parti dei giardini.
Si consiglia il viaggio col trenino a gasolio, un lento arrancare attraverso la Nurra riarsa, e poi una pencolante passeggiata a risalire verso la collina su cui sorge la città turritana, che rivela così l’altro lato dell’isola… La sassarese tempra è robusta, incline al rosso, e mai tirchia di porti il piatto colmo di dovizie tratte dal niente, miracoli della scarsità che a calzetta si rovescia in pletora, in splendore odoroso di terra e di costa. Qui tra le immemori trippe, nel ribollire di cordule e favate, non si spacciano scialbi souvenir: ma il nero sangue dell’asinello, e la mentuccia odorosa che screzia il culurgione, che scambieresti invano per il più dolce raviolo. Qui la Zia Forica (Corso Margherita di Savoia 39) spicca, contrafforte alle pendici di Elicona, musa ad un tempo e dea sovrana della memoria: e tu non saprai mai se ti ha preso prigioniero il sorriso che per un istante ti è parso balenare e che in famiglia ti accoglie – tu foresto, tu orfano di tutto: nudo da vestirti, famelico da riempirti il cavo della pancia. Non sai se è stata la gentilezza burbera con cui ti enumerano by heart i piatti ricordo d’una tradizione di millant’anni e rotti; se è la voce dolente, il fondo scuro delle occhiaie, il grigio dei capelli che portano senza timori. O se di là, nelle cucine nascoste, davvero cuociono ancora pezzetti amorosi e sanguigni, per imbandire all’ospite accolto non lumachine ma tocchelli di cuore.

vedi l'articolo nel suo contesto

martedì 24 luglio 2012

L'anti-Riviera del corallo (da "il Fatto Quotidiano" del 16/07/12)



Come in libro di saggistica, anche la città di Alghero ha un sottotitolo: Riviera del corallo. Solo che di corallo vivo non ce n'è più. Di vivo in questo anfratto urbano con i piedi a mollo nel Mediterraneo c'è rimasto poco. Strano destino quello del Nord Ovest della Sardegna, descriviamolo in un ballo a tre passi: scatto fulminate che precede di poco la Costa Smeralda; ben presto però si fa raggiungere da questa; infine il destino vuole che si faccia superare e umiliare. Meglio così se non fosse che anche nel poco la ricetta è sempre e comunque fare le cose male. Torneremo a scrivere della piccola Barcellona sarda, per ora, volendone parlare bene, ci allontaniamo di pochi chilometri. I primi dieci servono per raggiungere un paesino senza mare e ingrassato da case economiche per proletariato algherese in fuga: Olmedo. Il nostro primo rifugio culinario si chiama Desideria.
“Ciù post is mel che uàn”, diceva il poeta bagnante. In questo caso “uàn” sta per il bar, “ciù” per il ristorante: si entra dal primo per convergere sul secondo. Poi per continuare, si ordina il primo, oppure la pizza e si passa al secondo. Lo diciamo subito: da provare le patate fritte, segni inconfondibili ci fanno pensare che siano tagliate a mano (una rarità in Sardegna). Cucina generalista (dalla camionista puttanesca alla borghesissima spigola) abbondante, fresca e ben cucinata. Una simpatia verace nel servirla, merce rara nella Riviera di cui prima. Ma appunto qui siamo, per fortuna, ad Olmedo, lontani una inezia da Alghero. Interessanti piatti composti, menù tematici, pizze davvero buone, completano l'orchestra. Peccato per la televisione sempre accesa, ingombrante e chiassosa padrona di casa.

Seconda gita. A dieci chilometri da Olmedo e venti da Alghero c'è il paese campagnolo di Uri. Cerchiamo il ristorante di Ciù Mario. Ancora un “ciù”, perdonateci, ma questo si traduce in zio. Uri è famosa per i carciofi e per il ristorante di zio Mario, che però cucina pesce. Mario però non l'abbiamo mai visto, la gestione è rigorosamente sarda ovvero matriarcale. La discesa è da brivido, la rampa che ci conduce all'interno è per automobili, il locale infatti non è dissimile ad un parcheggio coperto. Noi però siamo cercatori di sostanza, sian qui per riempirci (bene) la panza di paranza e non badiamo a simili inezie. Facciamo bene, perché se abbiamo prenotato, anche solo mezz'ora prima, ci troviamo un ricchissimo antipasto di mare già in tavola. A quel punto possiamo solo proseguire: con i primi di scoglio e con i secondi di lenza. Mirto offerto dalla casa. Non cercate i dolci è sotto forma di packaging industriale. D'estate si può cenare anche fuori dal...“garage”.

Terza tappa, trenta chilometri da Alghero: Montresta, ovvero alla ricerca dell'oro nero. Nel bar della piazzetta in salita, nel banco frigo, in basso a sinistra della barista, si cela un tesoro inaspettato: bottigliette a piede libero di chinotto Neri a 1,80 euros al collo. Se non le avessimo portate di persona alle nostre labbra mai c'avremmo creduto. Il nostro consiglio è presentarsi a Montresta in 4 (più eventuali riserve), occupare il calcio da tavolo (nota bene: si gioca gratis) sfidarsi per una buona mezz'ora ed infine sorseggiare l'antico liquido nero. p.s. Per noi, con il chinotto Neri, in Sardegna, è il primo incontro. Ad ogni modo per i continentali non feticisti c'è pure dell'ottimo prosecco d.o.c. In serata il bar si apre in pizzeria e su prenotazione anche in ristorante. È d'obbligo ordinare la famosa pasta (fatta in casa) montrestina "Sos Pipiriolos”. Purtroppo né nel bancone, né nelle vetrinette del bar compare il leggendario pane bistoccu di Montresta (grande orgoglio del Sindaco!). Ma chiedetelo e vi sarà dato.
P.s. Per ritornare ad Alghero, fate la litoranea c'è da scommetterci che vi piacerà.

venerdì 13 luglio 2012

Pescemania, ovvero la Boqueria


Bateson dice che, escludendo l'istinto, le abitudini si apprendono sempre due volte. Prima si conosce il funzionamento di qualcosa, poi, esercitandosi e sperimentando, ci si abitua a ripeterlo.
Istintivamente noti la Boqueria verso l'ora di pranzo quando avverti un inspiegabile odore di frittura intorno a te. Ti guardi intorno con attenzione e finalmente scorgi un cartello fuori dal mercato del pesce. Ti ci avvicini e vedi della gente che non ha l'aria da casalinga entrare o uscire da lì, chiacchierando tra amici. In quel momento capisci che il tuo istinto non mentiva.
Poi scatta l'abitudine.
Fin dalla prima volta è bene imparare a separare l'aspetto da friggitoria rustica dalla realtà malcelatamente fighetta del locale. Si deve capire che i pescioni freschi che ti guardano e le ostriche che ti naccherano al ritmo dell'acquolina in bocca non hanno affatto lo stesso prezzo del banco del pesce alle tue spalle. Mentre aspetti un tavolo nell'ora di punta, tra i morsi dell'appetito, devi esercitarti a stare a tuo agio tra gli echi del mercato, incantonato sul tuo tavolino, a debita distanza da felpe fintoluride col cappuccio e completi di Armani: un'esperienza da provare!
Se la freschezza e la bontà non hanno prezzo, mai questa massima fu più vera alla Boqueria dove, a parte il piatto fisso di frittura, non esiste prezzo esposto. Ogni abitudine, infatti ha degli imprevisti. E qui resta oscuro il meccanismo di formazione del conto. Al punto che se pure impari a scegliere in modo eurocompatibile e prendi il vizio di coccolarti ogni tanto con una deliziosa triglia arrosto o un turgido polpo, lo farai comunque rischiando di dar fondo ai biglietti nel portafogli! Che dipenda da chi fa le somme? Non si sa..
Rien ne va plus, les jeux sont faits! (lux)
Bonus: La clientela è così varia e l'ambiente così dispersivo che nessuno farà mai caso a te
Malus: Vino in bottiglia da gioielleria!
Voti della Palmanana
Ambiente: 6,5
Servizio: 6
Cucina: 7,5

Ristorante Boqueria, via Cagliare 13, Alghero

lunedì 2 luglio 2012

Dai diamanti non nasce niente dal corallo nascono le perle. Bar la perla


Ad Alghero ci sono tanti bar e pochi baristi. È un dato di fatto e la certezza la si ha quando se ne incontra uno vero. I veri professionisti sono lontano dallo struscio, fuori dalle rotte dei turisti. I veri baristi eseguono movimenti ragionati, non hanno mai fretta, aspettano il prossimo avventore con una attesa che può protrarsi per ore. I veri baristi sono dei collezionisti del tempo. Il bar è per loro sia tempio che sacrestia. Non è importante che sia pieno o vuoto, bello o brutto, fondamentale per il barista è esserci dentro e governarne l'apertura. La gestione del bar di viale Sardegna non fa difetto ed è accompagnata da un pacifico plateatico che si affaccia su una larghissima highway a bassissimo scorrimento dal grande fascino di periferia maledetta. In vetrina troneggia il segnale:”al Mercoledì non si fa servizio ai tavoli”. C'è il mercato rionale, segno che la pazienza, solo per quella mattina deve essere praticata, almeno un po', anche dal cliente.
Bonus: non c'è la televisione e la sedie sono uguali uguali a quelle del caffè Quadri in piazza San Marco a Venezia.
Malus: il Mercoledì
Voti della palmanana
Servizio 8
Ambiente 8

Bar la perla, viale Sardegna n.80, Alghero